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Pillola del giorno dopo, tendenze a confronto*

Pillola del giorno dopo, tendenze a confronto*

Pillola del giorno dopo, tendenze a confronto

La “pillola del giorno dopo” continua a far parlare di sé nella stampa nazionale e internazionale.

Il farmaco in questione è un contraccettivo post-coitale (o d’emergenza) che può essere assunto entro le 72 ore da un rapporto sessuale ritenuto a rischio con lo scopo di bloccare l’ovulazione ed evitare gravidanze indesiderate. Appartiene alla categoria dei contracettivi e non è un farmaco abortivo.

In Inghilterra, dove è venduta già da tempo senza obbligo di ricetta, sei scuole medie inferiori hanno dato inizio, in via sperimentale, alla sua distribuzione gratuita alle studentesse con la garanzia di un adeguato sostegno medico e senza che i genitori ne vengano informati. L’iniziativa, che ha provocato un certo scalpore, è stata giustificata come un provvedimento necessario, nell’ambito della lotta contro il fenomeno delle gravidanze minorili, per assicurarsi che la possibilità di usufruire della contraccezione d’emergenza non sia minacciata dalla paura del confronto con i genitori.

Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha esteso anche alle 17enni la possibilità di accedere alla “pillola del giorno dopo” senza bisogno di ricetta medica. In Spagna, dove è in costante aumento il fenomeno delle gravidanze minorili indesiderate (e dei conseguenti aborti), la pianificazione nazionale, che tra vari obiettivi si pone quello di una maternità libera e responsabile, ha portato a facilitare l’accesso ai metodi anticoncezionali, contraccezione d’emergenza inclusa. Anche in Spagna il farmaco sarà distribuito senza obbligo di ricetta medica a donne di tutte le età, minori comprese.

A giudicare da queste notizie, in vari paesi la garanzia del diritto di usufruire della contraccezione d’emergenza al momento del bisogno e gli interventi a livello istituzionale per ampliare il più possibile il livello di accessibilità del farmaco sono diventati una priorità.

L’Italia si differenzia in maniera preoccupante da questa tendenza generale. Nel nostro paese più che i diritti delle pazienti sembrano essere prioritari quelli dei medici a cui queste ultime si rivolgono. Ad essere continuamente in primo piano è, infatti, la questione morale legata alla possibilità o meno per i medici di sottrarsi alla prescrizione della “pillola del giorno dopo” qualora questo atto sia in conflitto con le loro convinzioni morali. La questione è stata sollevata nuovamente lo scorso aprile, in seguito alla lettera con cui il direttore dell’Azienda Sanitaria Regionale delle Marche ha sottolineato l’esistenza di un preciso obbligo di prescrivere il farmaco a chi ne faccia richiesta, non sussistendo né la possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza (prevista dalla legge 194) né quella di avvalersi della clausola di coscienza (art. 22 codice deontologico). Tali disposizioni hanno suscitato aspre polemiche da parte di quanti, rivendicando il diritto del medico di salvaguardare la propria libertà e di vedere rispettate le proprie convinzioni morali, le hanno definite fortemente lesive della “dignità professionale”. Non sono mancate le critiche anche da parte di esponenti del governo, in primis la sottosegretaria al Welfare Eugenia Roccella.

La recente vicenda ha portato alla luce ancora una volta le forti resistenze ideologiche alla contraccezione d’emergenza in Italia, esercitate non solo dal clero, ma anche da una certa parte della classe politica e, soprattutto, da una nutrita rappresentanza della classe medica che rivendica il proprio diritto di agire in “scienza e coscienza”.

Come motivare la profonda distanza tra le preoccupazioni tutte italiane nei confronti della “pillola del giorno dopo” rispetto alle posizioni degli altri paesi? Alla base di priorità così contrastanti sembra di intravedere differenti interpretazioni della relazione medico-paziente e concezioni alternative dell’idea di salute.

Il fatto che il direttore dell’Asur delle Marche sia stato accusato di non tutelare quei medici che potrebbero non voler prescrivere il farmaco lascia intendere che una certa parte della società italiana sia fortemente convinta che, all’interno del rapporto medico-paziente, il “sentire” del medico debba essere preso in grande considerazione almeno quanto, e forse più, dell’esigenza e del diritto delle pazienti di avere una prestazione sanitaria prevista dalla legge. Come dire che, a proposito della decisione di ammobiliare la nostra casa in rosso piuttosto che in nero, la scelta non possa prescindere dalla sensibilità del rivenditore dei mobili.

Se ci appare surreale l’idea che le preferenze cromatiche di un commerciante possano in qualche modo determinarci nell’acquisto di un bene esterno piuttosto che di un altro, ciò vale a maggior ragione per le scelte che in ambito medico compiamo sul nostro corpo. In cosa si differenzia il mestiere del medico da quello di un qualsiasi altro professionista? Per quale motivo, aldilà delle sue competenze professionali e scientifiche, devono avere peso e importanza i suoi sentimenti, la sua sensibilità e le sue convinzioni morali al punto tale da doverne garantire la tutela anche contro i sentimenti e le convinzioni delle donne che a lui si rivolgono?

In Italia la tendenza ad assicurare ai medici il diritto all’obiezione di coscienza rivela un incompleto superamento dell’idea ippocratica che il medico, quale detentore di certe conoscenze legate alla vita biologica, sia il soggetto più accreditato a stabilire quali siano gli atti dovuti e necessari al perseguimento della salute del paziente e quali invece siano prestazioni non necessarie e dunque rifiutabili. Una simile visione mina in maniera considerevole quei principi di autonomia e autodeterminazione dell’individuo che in vari paesi rappresentano ormai valori portanti da preservare ed ampliare anche attraverso un processo di maggiore responsabilizzazione di ciascuno nelle scelte che lo riguardano in prima persona.

Negli altri paesi la tendenza è di rafforzare l’idea del consenso informato come strumento che equipara il rapporto medico-paziente ad un qualsiasi altro rapporto professionale in cui il medico mette la propria competenza tecnica (e solo questa) al servizio del paziente.

In Italia si stenta ad abbandonare l’idea che al medico si debba tributare un credito che non sia limitato solo alle sue competenze: lo si vorrebbe estendere anche alle sue convinzioni morali, come se ciò che è “bene” per il medico fosse tale anche per il paziente. Il “bene del paziente”, tuttavia, non dipende da presunti criteri oggettivi validi per chiunque e in qualunque circostanza, ma dalle particolari concezioni di vita buona dei pazienti stessi. Finché anche in Italia non si affermerà in maniera chiara e inequivocabile l’idea che la “salute” è realmente tutelata dal medico se e solo se quest’ultimo presta attenzione alle volontà dell’assistito più che alle proprie, difficilmente il problema della contraccezione d’emergenza potrà essere affrontato nella maniera più adeguata, ossia come un diritto delle donne al controllo responsabile della sessualità e della riproduzione, non imposto da decisioni esterne.

*Rispetto al 2009 la normativa sulla contraccezione d’emergenza in Italia ha subito importanti modifiche tra il 2015 e il 2016 a seguito dell’inserimento della “pillola dei 5 giorni dopo” e della “pillola del giorno dopo” nella categoria di farmaci che non richiedono prescrizione medica (SOP). Tale modifica riguarda solo ed esclusivamente i maggiori di 18 anni. Le questioni illustrate nel testo rimangono dunque valide sia perché nulla è cambiato per chiunque non abbia ancora raggiunto la maggiore età, sia perché il rifiuto ideologico nei confronti della contraccezione di emergenza è ancora molto radicato.  Nel maggio scorso è stata presentata alla Camera un disegno di legge sull’obiezione di coscienza dei farmacisti (Disposizioni concernenti il diritto all’obiezione di coscienza per i farmacisti) per consentire “a ogni farmacista titolare, direttore o collaboratore di farmacie, pubbliche o private, di rifiutarsi, invocando motivi di coscienza, di vendere dispositivi, medicinali o altre sostanze che egli giudichi atti a provocare l’aborto”.

Originariamente pubblicato in “Il grande vetro”, Anno XXIII, n. 195 Aprile-Giugno 2009

 

 

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