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Gianni Bertoncini e Piero Principe sono due amici che vivono assieme. Sono due uomini eterosessuali uniti da un profondo legame di amicizia e conviventi ormai da anni. Hanno deciso di unirsi civilmente: l’intenzione dei due uomini è stata quella di formalizzare il loro legame per poter godere delle tutele garantite alle coppie dalla legge Cirinnà. […]
Gianni Bertoncini e Piero Principe sono due amici che vivono assieme. Sono due uomini eterosessuali uniti da un profondo legame di amicizia e conviventi ormai da anni. Hanno deciso di unirsi civilmente: l’intenzione dei due uomini è stata quella di formalizzare il loro legame per poter godere delle tutele garantite alle coppie dalla legge Cirinnà. […]
Le unioni civili e i pregiudizi che non ti aspetti
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Gianni Bertoncini e Piero Principe sono due amici che vivono assieme. Sono due uomini eterosessuali uniti da un profondo legame di amicizia e conviventi ormai da anni. Hanno deciso di unirsi civilmente: l’intenzione dei due uomini è stata quella di formalizzare il loro legame per poter godere delle tutele garantite alle coppie dalla legge Cirinnà.
Il loro legame di amicizia e convivenza li ha portati a prendersi cura l’uno dell’altro, anche nei momenti di malattia, tanto che è stato Piero ad accompagnare Gianni nel lungo percorso di cura e guarigione da un brutto male, sperimentando tutte le difficoltà di assistere una persona che non ha alcun legame formale con lui (questa è del resto una delle principali preoccupazioni delle coppie omosessuali fino a poco tempo fa non riconosciute: l’impossibilità di stare accanto al proprio partner e di non avere alcun diritto formale di assisterlo in ospedale). La gratitudine profonda per il sostegno e l’appoggio in giorni difficili è una delle motivazioni per cui Gianni vuole assicurare all’altro ogni tutela dopo la sua morte, inclusa la reversibilità della sua pensione.
Il caso ha destato numerose polemiche perché queste due persone non hanno tra loro una relazione amorosa canonica ma sono legati “soltanto” da un affetto fraterno.
Monica Cirinnà si è “limitata” a dire di non essere particolarmente sconvolta, perché i matrimoni di comodo si sono sempre fatti, anche tra le coppie eterosessuali. Più severa è stata la reazione di Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia e leader storico della comunità omosessuale italiana il quale afferma che una simile unione, pur essendo legalmente legittimata, altro non è che una truffa morale :
“che due persone eterosessuali dello stesso sesso vogliano fare una unione civile e accedere così anche alla reversibilità delle pensioni, all’eredità e così via, lo trovo legittimo e legale ma dal punto di vista morale è una truffa. Non è che si possa utilizzare la norma come si vuole. Liberi di farlo, ma dal punto di vista morale credo siano dei furbacchioni che usano le norme a loro uso e consumo. Io, che ho fatto una lunga battaglia per il riconoscimento delle coppie omosessuali, non dirò mai loro: bravi, bravi […] forse non si rendono conto che la legge sulle unioni civili prevede diritti ma anche doveri” e conclude “attenzione a non svilire un istituto come qualcosa che passa come privilegio, la legge non è un eldorado per chi vuol fare il furbo”.
Il giudizio breve della Cirinnà, colpisce almeno quanto la feroce condanna morale di Mancuso.
A colpire maggiormente è l’adesione di entrambi a modelli precostituiti di amore e famiglia, comportamento che ci saremmo aspettati più dai detrattori della legge Cirinnà che non dalla Cirinnà stessa e da chi ha fatto della lotta per liberare l’idea di amore e famiglia dagli stereotipi culturali e di genere una missione.
Monica Cirinnà etichetta come unione di comodo la decisione legittima di due persone che si vogliono bene (convivono e si prendono cura l’una dell’altra) di esser tutelati da una legge nata proprio per questo motivo: riconoscere un’unione affettiva, garantendo ai componenti reciproci diritti (e doveri).
Ma cos’è che fa di questa unione, un’unione di comodo?
Se la dichiarata necessità di veder tutelata la propria vita condivisa è il motivo che rende l’unione di questi due uomini un’unione di comodo, allora tutte le unioni che vengono formalizzate davanti ad un pubblico ufficiale devono essere definite tali. Perché, al di là del valore simbolico ed emotivo che accompagna sempre la decisione di unirsi all’interno di una comunità, tutte le coppie che decidono di formalizzare la propria unione di fronte ad un rappresentante dello Stato lo fanno per avere garanzia che la propria unione sia tutelata a norma di legge.
Se invece sono proprio le motivazioni “simboliche ed emotive” ad essere considerate non accettabili, bisognerebbe chiedersi quanto sia legittimo pretendere di giudicare le motivazioni personali (e insondabili) che sono alla base delle scelte emotive di ciascuno di noi e soprattutto chiedersi quali siano i criteri che possono legittimare o delegittimare moralmente la decisione di due persone di essere considerati una coppia di fronte alla legge.
Ammesso e non concesso che ci si possa erigere a giudici morali di scelte così personali (che peraltro hanno conseguenze solo sulla vita degli individui coinvolti), quali motivazioni possono essere addotte per affermare che questa è solo una unione di comodo? Se la risposta è la sua non conformità a ciò che comunemente siamo abituati a considerare come amore, poiché i due signori non sono partner sessuali, allora forse ci dovremmo interrogare su quanto un simile giudizio sia radicato a un’idea precostituita e stereotipata delle relazioni affettive, che vorrebbe decidere a priori dinamiche che devono essere frutto di scelte personali e non eteroimposte.
Proprio sulla base di queste considerazioni diventa difficilmente accoglibile anche la condanna morale di Mancuso, che sembra volersi arrogare il diritto di svilire e svalutare l’unione tra i due uomini solo perché il loro legame non è conforme a ciò che lui stesso considera e riconosce come una unione.
Che un giudizio censorio così severo e feroce provenga proprio da chi dice di aver lottato per il riconoscimento delle coppie omosessuali, e dunque ha lottato perché le idee di amore e famiglia fossero liberate da preconcetti e stereotipi, sembra essere quanto meno bizzarro.
Garantire a chiunque la possibilità di volersi bene e decidere in che modalità farlo, a prescindere dal proprio sesso biologico e, soprattutto, a prescindere dagli stereotipi culturali che riconoscono dignità solo a relazioni che rispettano determinati canoni, significa lasciare a ciascuno la facoltà di disegnare le proprie relazioni e i propri affetti.
Delegittimare e disconoscere una coppia di persone che si vogliono bene e si assistono reciprocamente, pur non essendo partner sessuali, significa cedere ai pregiudizi e soprattutto lasciar intendere che esistano dei criteri specifici per poter riconoscere come moralmente lecita o meno una relazione tra due adulti consapevoli e consenzienti.
Siamo proprio sicuri che questo sia il modo migliore di rendere ciascuno di noi libero di amare chi vuole e come vuole?
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