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Con l’espressione Mutilazioni dei Genitali Femminili si indicano convenzionalmente una serie di complesse pratiche sociali tradizionali, effettuate generalmente su bambine in tenera età[1], diffuse prevalentemente in Africa[2], caratterizzate da una manipolazione più o meno grave dei genitali femminili che provocano alterazioni irreversibili della morfologia e delle funzionalità degli stessi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità individua quattro […]
Con l’espressione Mutilazioni dei Genitali Femminili si indicano convenzionalmente una serie di complesse pratiche sociali tradizionali, effettuate generalmente su bambine in tenera età[1], diffuse prevalentemente in Africa[2], caratterizzate da una manipolazione più o meno grave dei genitali femminili che provocano alterazioni irreversibili della morfologia e delle funzionalità degli stessi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità individua quattro […]
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Con l’espressione Mutilazioni dei Genitali Femminili si indicano convenzionalmente una serie di complesse pratiche sociali tradizionali, effettuate generalmente su bambine in tenera età[1], diffuse prevalentemente in Africa[2], caratterizzate da una manipolazione più o meno grave dei genitali femminili che provocano alterazioni irreversibili della morfologia e delle funzionalità degli stessi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità individua quattro tipologie di MGF:
- I tipo: escissione del prepuzio, con o senza asportazione di parte o tutta la clitoride
- II tipo: escissione della clitoride con parziale o totale rimozione delle piccole labbra
- III tipo: Infibulazione: escissione di parte o tutti i genitali esterni con cucitura dell’orifizio vaginale eccetto un piccolo passaggio per il deflusso del sangue mestruale e delle urine.
- IV tipo: pratiche varie tra cui perforazione o incisione della clitoride e/o delle grandi e piccole labbra, stiramento della clitoride e/o delle grandi e piccole labbra, cauterizzazione mediante ustione della clitoride e del tessuto circostante, raschiamento del tessuto che circonda l’orifizio vaginale (angurya cuts) o incisione della vagina (gishiri cuts), introduzione di sostanze corrosive o erbe all’interno della vagina al fine di provocare sanguinamento o restringimento[3].
Le conseguenze che tali pratiche provocano sia a livello fisico che psichico sono gravissime. Oltre ad una serie di lesioni permanenti all’apparato uro-genitale che ne riducono in maniera drammatica funzionalità e sensibilità incidendo consistentemente sulla vita della futura donna e causando spesso disturbi nella sfera psico-sessuale (depressione, frigidità, disfunzioni sessuali), infezioni post operatorie, emorragie, elevati rischi di contagio di malattie infettive quali tetano e hiv, mettono in grave pericolo la vita stessa delle bambine[4].
MGF su minori
La riflessione morale su un fenomeno articolato come le MGF è complessa. Confrontarsi con tali pratiche significa prendere in considerazione anche la fitta trama di dinamiche sociali che sottendono, l’universo di significati a cui alludono.
In questa sede affronteremo uno degli aspetti in cui la riflessione morale delle MGF può articolarsi: la riflessione bioetica sull’atto di manipolazione dei genitali su minori, assumendo come criterio preferenziale per definire la liceità morale dell’azione l’analisi delle conseguenze che essa provoca.
Chiariamo i termini della situazione qui considerata: è il caso in cui i genitori, o chi per essi, decidono di sottoporre minori ad una MGF convinti che questo sia per loro il sommo bene, il solo mezzo per entrare a far parte della comunità e diventare delle “vere donne”.
Precisare la non malevolenza dei genitori, per quanto nell’ottica assunta siano rilevanti le conseguenze e non le intenzioni, è doveroso per scartare subito l’idea che i genitori siano mossi da qualche pulsione sadica.
Ci troviamo dunque in un contesto in cui persone adulte decidono per conto di soggetti considerati non ancora autonomi. Sino a dove può spingersi la potestà genitoriale? Sino a che punto e a che prezzo un adulto può decidere in vece della propria figlia?
Se giudichiamo la scelta di sottoporre una bambina alle MGF sulla base delle sue conseguenze è difficile trovare la situazione moralmente accettabile. Il prezzo che la bambina paga per entrare a far parte delle donne adulte è una lesione fisica permanente e irreversibile che condizionerà in modo spesso molto doloroso tutta la sua vita.
Vengono drasticamente ridotte le possibilità della futura donna di vivere una vita piena, ossia la possibilità di poter scegliere e perseguire liberamente il proprio personale piano di vita. Le MGF creano, infatti, una serie di condizioni che precludono la possibilità di vivere una serie di esperienze che sono potenzialmente accessibili a qualunque bambina non le abbia subite.
Sebbene numerose donne sottoposte a MGF affermino di vivere una vita soddisfacente, troppe sono quelle che muoiono o a cui è impossibile esperire un’appagante vita sessuale o una serena gravidanza, ma anche solo affrontare tranquillamente situazioni persino banali, come una mestruazione regolare.
La scelta dei genitori compromette pesantemente la vita presente e futura delle bambine, o, se non altro, riduce le possibilità della bambina di accedere ad esperienze importanti. E’ moralmente accettabile questa sottrazione di possibilità?
Non sembra esserci alcuna giustificazione per un’azione dannosa a tal punto da violare palesemente una serie di diritti il cui rispetto è garanzia della libertà di ciascuno di aspirare a fruire dei beni più elevati, a cominciare dal diritto all’integrità fisica.
Di fronte ad un rifiuto delle MGF in base ai danni fisici provocati, l’obiezione più frequente consiste nel sostenere che il concetto di “danno all’integrità fisica” è piuttosto labile e soggettivo, così come il concetto di “danno”[5]. Durante la nostra vita ci sottoponiamo spesso ad interventi dolorosi che, pur comportando deprivazioni di parti del corpo e decorsi post operatori impegnativi (dalle cure odontoiatriche alle tonsillectomie), non interpretiamo come danni fisici né come lesione alla nostra integrità. Tali interventi, abbiano essi finalità terapeutiche o variamente estetiche, vengono pacificamente tollerati in quanto considerati necessari, utili o quantomeno accettabili, nonostante, di fatto, comportino un’alterazione del nostro corpo.
In base a quali criteri si può stabilire con certezza quando ci troviamo di fronte ad una “deprivazione” o ad una “costruzione” del corpo?
A questa obiezione non è difficile replicare. E’ sicuramente vero che il comune sentire è fortemente influenzato sia dall’idea che si ha della salute che da particolari canoni estetici, e non possiamo a questo proposito dimenticare che, per quanti le praticano, le MGF sono pratiche di perfezionamento e abbellimento del corpo femminile. Nonostante la soggettività delle idee di salute e bellezza, esiste forse un limite oltre il quale non si possa demandare al giudizio dei singoli genitori e al loro ideale di bellezza quali operazioni siano ammissibili sul corpo dei propri figli, e tale limite è rappresentato dal danno effettivo e irreversibile alla funzionalità del corpo, danno che, nel caso delle MGF, è oggettivo poiché riscontrabile sulla base di evidenze mediche. Sebbene numerosi interventi convenzionalmente accettati comportino manipolazioni spesso consistenti del corpo, le MGF sono difficilmente assimilabili ad essi. La non terapeuticità dell’intervento e le numerose patologie che comporta lo escludono immediatamente dalla classe di interventi finalizzati alla cura, né esso può essere assimilato ad interventi (quali quelli ortopedici od odontoiatrici) che, pur rispondendo talvolta a particolari criteri estetici, hanno anche una connotazione migliorativa o di potenziamento per cui la sofferenza (temporanea e sostenibile) dell’intervento è controbilanciata da un incremento delle funzionalità dell’organismo. L’unica classe in cui possiamo includere le MGF è quella degli interventi di carattere puramente simbolico. Il prezzo di queste pratiche, in termini di salute fisica, è però così alto che non è possibile affidare a tale criterio la decisione dei genitori di sottoporre le proprie figlie alle MGF. Anche ammessa e non concessa, inoltre, un’assimilazione con certe forme di chirurgia estetica, in nessun modo ciò attenua la legittimità del rifiuto delle MGF su minori. Per quanto siamo abituati ad accettare la chirurgia estetica come scelta autonoma e consapevole di persone che aspirano ad un particolare ideale estetico, non con altrettanta ovvietà accettiamo che i genitori compiano queste scelte sul corpo dei figli. Accetteremmo di buon grado un intervento di mastoplastica su una bambina di tre anni?
Non ci sono argomenti che possano sostenere la prosecuzione di una tale pratica sui minori. Non è riscontrabile alcun vantaggio in grado di controbilanciare il caro prezzo in termini di salute fisica che ogni anno migliaia di bambine pagano. Neppure il fatto che queste siano lo strumento per raggiungere l’accettazione sociale può ridimensionare il giudizio negativo sulle MGF: il motivo per cui queste pratiche costituiscono un “vantaggio sociale” è da ricercarsi in un contesto patriarcale che può e deve essere messo in discussione. Il fatto che diversi gruppi abbiano scelto di abbandonare la pratica è la più grande testimonianza che un cambiamento è possibile, per il bene delle bambine e delle future donne.
Pubblicato originariamente in: CIRSDIG Working Paper, quad. n. 25, pp.138-142 (anno 2007)
[1] L’età è estremamente variabile e può dipendere da svariati fattori. Alcune MGF si praticano sin dai primi giorni di vita e in età un po’ più avanzata (escissione e clitoridectomia) mentre l’infibulazione viene praticata prevalentemente dai 3 ai 12 anni. Rari i casi in cui le MGF sono praticate su maggiorenni. Vd. Michela Fusaschi, I segni sul corpo, per un’antropologia delle modificazioni dei genitali femminili, Bollati Boringhieri, Torino 2003 pp. 92-98.
[2] Le MGF sono praticate in 28 Paesi Africani con una gran variabilità in merito all’incidenza e alla tipologia delle pratiche diffuse. Casi di MGF sono stati inoltre rilevati in Medio Oriente, Yemen, Giordania, Oman, presso i territori palestinesi occupati (Gaza), in alcune comunità curde dell’Iraq, in India, Indonesia e Malesia oltre che all’interno delle comunità di immigrati in Europa, Nord America, Australia, Nuova Zelanda. Cfr. WHO, Progress newsletter: Female genital mutilation—new knowledge spurs optimism, 2006 in http://www.who.int/reproductive-health/hrp/progress/72.pdf e Michela Fusaschi, op.cit.
[3] Cfr. WHO, Female genital Mutilation: a joint WHO,UNICEF,UNPFA statement, Ginevra 1997 al link http://www.who.int/reproductive-health/publications/fgm/fgm_joint_st.pdf .
[4] Crf. ivi
[5] Cfr Yael Tamir, Hands Off Clitoridectomy, “Boston Review”, 1996 e relative risposte http://www.bostonreview.net/BR21.3/Tamir.html
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